Il Parlamento Europeo approva la relazione “Identity Cards” e apre alla possibilità di documenti con genere non binario. Tra avanzamenti storici, emendamenti di Zan e tensioni politiche, la battaglia per il riconoscimento continua nei singoli Stati membri.
Un passo in avanti verso il riconoscimento pieno dei diritti delle persone non binarie è stato compiuto dal Parlamento Europeo. Con l’approvazione della relazione “Identity Cards”, l’Eurocamera ha espresso parere favorevole alla possibilità di includere nei documenti d’identità un’opzione di genere non binario, accanto alle tradizionali categorie di “maschio” e “femmina”. Un risultato simbolico ma potenzialmente rivoluzionario, che ridefinisce i confini tra cittadinanza e autodeterminazione nel cuore dell’Unione Europea.
Determinanti in questo voto sono stati gli emendamenti proposti dall’eurodeputato Alessandro Zan, da tempo impegnato nella promozione dei diritti LGBTQIA+. Le modifiche hanno rafforzato il testo in senso inclusivo, sottolineando l’importanza del rispetto per le diverse identità di genere nella documentazione ufficiale, non solo come tutela individuale, ma come valore fondante di un’Europa democratica e pluralista.

Non sono mancate, tuttavia, le polemiche. Tra i contrari più vocali, il generale Roberto Vannacci, il cui emendamento volto a rimuovere ogni riferimento al genere non binario è stato nettamente respinto. Un segnale chiaro della volontà di gran parte dell’emiciclo europeo di non retrocedere sui diritti civili, nonostante le pressioni conservatrici che attraversano diversi Paesi membri.
L’approvazione della relazione non ha valore vincolante immediato, ma rappresenta un forte orientamento politico. Ora la parola passa al Consiglio dell’Unione Europea, dove i singoli Stati, con diritto di veto, potranno rallentare – o eventualmente bloccare – l’applicazione concreta della proposta. E qui si gioca la vera partita: mentre in alcuni Paesi (come Germania e Paesi Bassi) esistono già formule legali per riconoscere il genere non binario, in altri – Italia compresa – la questione resta profondamente divisiva e priva di un quadro normativo chiaro.

Il dibattito, però, ha già avuto l’effetto di portare la tematica al centro della scena pubblica. La possibilità di autodeterminare il proprio genere anche nei documenti non è un semplice dettaglio burocratico: è una questione di dignità, di visibilità e di pari opportunità. Il riconoscimento legale delle identità non binarie segna la transizione da un’Europa dei cittadini a un’Europa delle persone, capace di accogliere e rispettare la complessità dell’esperienza umana.
Il cammino è ancora lungo, ma il voto del Parlamento segna una tappa fondamentale. E se è vero che il diritto formale non sempre coincide con la realtà quotidiana, è altrettanto vero che senza riconoscimento legale non può esserci piena cittadinanza. In gioco non c’è solo la presenza di una “X” sulla carta d’identità, ma la possibilità per milioni di persone di essere finalmente viste per ciò che sono.