Gloria Gaynor, da icona queer a sostenitrice repubblicana: bufera negli Stati Uniti

1 Settembre 2025

La voce di I Will Survive e I Am What I Am presto premiata da Trump ai Kennedy Center Honors. Scoperti oltre 22.000 dollari di donazioni a politici anti-LGBTQIA+.

Per decenni è stata celebrata come un faro della cultura queer. Con I Will Survive (1978) e I Am What I Am (1983), Gloria Gaynor ha offerto alla comunità LGBTQIA+ inni di resilienza e orgoglio che hanno attraversato le generazioni. Oggi però, a 81 anni, la sua figura è al centro di una polemica feroce.

Il caso è esploso quando la Casa Bianca ha annunciato i nomi dei prossimi premiati ai Kennedy Center Honors 2025: tra loro, insieme a Sylvester Stallone e i KISS, ci sarà anche Gaynor. La notizia ha subito diviso: per molti fan, accettare un riconoscimento dalle mani di Donald Trump equivale a legittimare un presidente che ha più volte osteggiato i diritti delle minoranze e delle persone LGBTQ+.

A rafforzare la controversia è stata la scoperta delle donazioni politiche della cantante al Partito Repubblicano. Secondo i registri della Commissione Elettorale Federale, Gaynor (con il suo nome di nascita, Gloria Fowles) ha contribuito a campagne di esponenti conservatori come Mike Johnson, Josh Hawley, Ted Cruz e Marco Rubio. Il totale supera i 22.000 dollari, in gran parte convogliati attraverso WinRed, piattaforma di fundraising repubblicana.

L’icona e la comunità: un legame incrinato

La notizia è stata accolta come una doccia fredda dalla comunità LGBTQIA+ americana, che per oltre 40 anni ha trovato nella musica di Gaynor un simbolo di emancipazione. Personalità come Ana Navarro (The View) hanno invitato la cantante a rifiutare il premio: “La comunità gay ha trasformato la sua canzone in un inno. Trump è una macchia sul prestigio del Kennedy Center. Non farlo, Gloria!”.

Eppure, tutto lascia pensare che l’artista ritirerà l’onorificenza. “Non sono una persona politica”, aveva dichiarato nel 2017, durante la prima amministrazione Trump. Ma le sue scelte di finanziamento raccontano una vicinanza concreta a esponenti che hanno promosso leggi contro i diritti LGBTQIA+.

La vicenda di Gloria Gaynor mette in luce un tema ricorrente: quello delle icone queer “tradite”. In passato era accaduto in Italia con Lorella Cuccarini, amata dal pubblico LGBTQIA+ e poi apertamente contraria a matrimoni e adozioni per le coppie dello stesso sesso. Oggi, negli Stati Uniti, la parabola di Gaynor apre una ferita simile: fino a che punto un’artista può essere separata dal proprio posizionamento politico?

La comunità LGBTQIA+ le deve canzoni che hanno dato voce a battaglie e orgoglio. Ma se I Will Survive resta un inno universale, la figura della sua interprete appare ora più controversa, divisa tra la leggenda musicale e la scelta di sostenere politicamente chi di quei diritti ha fatto spesso bersaglio.

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