La denuncia arriva dal penitenziario cittadino: vittima una detenuta trans inserita in un reparto maschile. La garante dei detenuti: “Fatto gravissimo, inaccettabile. Servono protocolli di protezione immediati”.
Una denuncia che squarcia il velo di silenzio su una realtà troppo spesso ignorata: quella delle persone trans nei penitenziari italiani. A Ferrara, una detenuta transgender ha denunciato di essere stata vittima di uno stupro di gruppo da parte di altri detenuti, all’interno di un carcere maschile dove era stata assegnata nonostante la sua identità di genere femminile.
Il fatto, reso noto da fonti interne al carcere e confermato successivamente dalla Garante regionale dei diritti dei detenuti, è avvenuto nei giorni scorsi, ma solo oggi è trapelato pubblicamente. La vittima ha raccontato l’accaduto con l’assistenza di uno psicologo e del personale sanitario della struttura, e ha formalizzato la denuncia presso la procura.
Una collocazione errata, una tragedia annunciata
Secondo quanto emerso, la detenuta – già in attesa di rettifica anagrafica secondo il percorso previsto dalla legge 164/1982 – era stata inserita in un reparto maschile in assenza di alternative strutturate. Un errore gravissimo, che evidenzia ancora una volta l’inadeguatezza delle strutture carcerarie italiane nel tutelare i diritti delle persone transgender.
“È un fatto vergognoso, gravissimo e non tollerabile in un Paese che si definisce civile. Le persone trans non possono essere trattate come corpi da neutralizzare o ignorare: sono soggetti vulnerabili che necessitano di protezione e dignità” ha dichiarato la Garante per i detenuti dell’Emilia-Romagna, Giuseppina Benassati. “Da tempo chiediamo sezioni specifiche, personale formato, e un intervento legislativo serio. Il silenzio istituzionale è complice”.
Il vuoto normativo e l’assenza di protocolli
In Italia, non esiste ancora un protocollo nazionale vincolante che disciplini la collocazione carceraria delle persone transgender. Le decisioni vengono spesso lasciate alla discrezione delle direzioni penitenziarie, che agiscono in base alla documentazione anagrafica e non all’identità vissuta. Il risultato è un sistema che espone le persone trans a un altissimo rischio di violenza, isolamento e abusi.
Secondo l’ultimo rapporto di Antigone, sono almeno 67 le persone trans detenute in Italia, la maggior parte delle quali recluse in carceri maschili. “Molte chiedono l’isolamento volontario per paura di aggressioni, ma questo si trasforma spesso in vera e propria detenzione in solitaria, con effetti devastanti sulla salute mentale” spiega Alessandra Naldi, già garante dei detenuti di Milano.
Le reazioni politiche: un silenzio assordante
Al momento, nessuna reazione ufficiale da parte del Ministero della Giustizia o dell’Amministrazione Penitenziaria. Le uniche parole forti sono arrivate dal mondo delle associazioni LGBTQIA+ e da alcune voci dell’opposizione. “Questo è uno stupro istituzionale, oltre che fisico” ha dichiarato il deputato Alessandro Zan. “La violenza non è stata solo quella degli aggressori, ma anche di chi ha ignorato il rischio”. Intanto la procura di Ferrara ha aperto un fascicolo. Sono in corso gli accertamenti, ma il caso ha già messo in luce una falla sistemica. Una falla che, finché non sarà sanata, continuerà a mettere vite umane in pericolo.
Oltre l’emergenza, serve una riforma
Quello di Ferrara non è un “incidente”. È la conseguenza di un sistema penale cieco alle differenze, sordo alle vulnerabilità e incapace di garantire sicurezza anche dove dovrebbe essere massima. Non bastano le indignazioni a posteriori. Servono leggi, fondi, formazione e soprattutto l’ammissione che i diritti delle persone trans non si fermano alla soglia del carcere.